

Ormai quasi due mesi fa me ne sono andata a fare un bel viaggio in solitaria in Portogallo. Di quelli che piacciono a me, in cui semplicemente trasferisco la mia quotidianità, con tanto di lavoro e progetti da mandare avanti, ma allo stesso tempo la stravolgo, concedendomi di vivere in piena “serendipity”
Quando faccio questi viaggi mi piace immergermi completamente nello spirito del Paese che mi ospita e per farlo sono solita leggere dei libri ambientati lì o scritti da autori del posto o che ne raccontano la storia.
Questa è stata la volta di Antonio Tabucchi e del suo “Per Isabel”.
Vi chiederete perché non Pessoa e la risposta è semplice: Tabucchi mi piace tantissimo e non ho resistito a cogliere l’occasione di leggere un altro dei suoi romanzi.
Infatti Sostiene Pereira, il più classico dei libri scritti da questo italianissimo autore innamorato del Portogallo, è stato una mia lettura di qualche tempo fa e ora mi sono fatta prendere dal fascino di quest’opera meno conosciuta ma così significativa.
Il sottotitolo di “Per Isabel”, infatti, è “Un mandala” e non ci potrebbe essere definizione più azzeccata: questa storia si annoda su se stessa in spirali quasi oniriche ma così fitte da trascinare il lettore senza quasi fargli riprendere fiato.
Il mistero di Isabel simboleggia un po’ il mistero del Portogallo, nazione che racchiude ancora in sé i segni di una storia così ricca che si fa fatica a distinguerla da un lungo sogno di potenza.
Per Isabel è anche una dedica di amore, di un uomo che non dimentica e non pretende il ritorno, ma sa stare nell’attesa e farne un capolavoro. Un mandala, appunto.
Pagina dopo pagina si scoprono posti del Portogallo, angoli di Lisbona e dintorni di cui sembra di sentire l’odore, insieme al calore del sole e al vento che viene dall’Oceano.
Leggete questo libro se state cercando delle risposte e capirete che quelle giuste si trovano col cuore e non con la mente.
Leggete questo libro se avete perso qualcuno e continuando a cercarlo scoprirete che avrete ritrovato voi stessi.
E alla fine “di tutto resta un poco, a volte un’immagine”.